Nuove prospettive? Ecco da dove partire.

Termino una telefonata con una collega che sta valutando una nuova proposta professionale.

Abbiamo involontariamente passato 10 minuti a evidenziare le sfaccettature della nostra professione e le varie tipologie di come un fundraiser può o vuole essere

Ora guardo dalla finestra e mi interrogo sulla mia di tipologia.

E’ vero, io ora devo occuparmi di TUTTO, non trascurare nessuno degli strumenti che consentono di fare raccolta fondi.

Ma se ripenso a 15 anni fa, quando cominciavo ad occuparmi SERIAMENTE di fundraising, non posso scordare l’interesse e l’emozione nel leggere i testamenti, trovare tra le righe di quegli improvvisati scrittori (perché di fatto questo sono), le vere motivazioni di un ingaggio profondo con una causa, magari la nostra.

Stamattina poi un post su Facebook di Alberto Cuttica (che ringrazio), mi sottopone l’articolo della collega olandese (qui la versione integrale).

Nulla di nuovo in verità, ma – come spesso accade – si ritrova nei commenti esteri ciò che vado (andiamo) affermando da anni anche nel nostro complesso mercato italiano del fundraising da lasciti testamentari.

Sintetizzo quanto lei evidenzia e provo a collocarlo nel nostro mercato:

  1. Nessun board, nessun CdA, nessun presidente o direttore generale si entusiasma per uno strumento che richiede (poco) investimento ma che genera i suoi risultati nel tempo e senza regolarità e certezza.
  2. Non solo dirigenti, consigli di amministrazione o direttori spesso non si sentono a proprio agio nel parlare di donazioni legacy e credono ancora che le conversazioni riguardino la morte. Non comprendono che il primo step è parlarne all’interno dell’organizzazione, trovare – a partire da noi – il modo e la chiave per affrontare il tema con serenità e dimestichezza.
  3. Le campagne non sono più (solo) fatte di brochure e notai: passano attraverso una intensa e fitta relazione, intima quasi. E nella maggior parte dei casi questa passa attraverso fasi di problem solving (problemi famigliari, patrimoniali o altro) in cui il fundraiser è di fatto colui che è chiamato a risolverli.

 

Quando giro l’Italia a parlare di testamenti e a provare a insegnare come attrarli, non dimentico mai di ricordare che attualmente non esistono strumenti, eventi o tecniche di raccolta fondi che possano sostituire un programma legacy (lasciti testamentari) efficace e sostenibile per una organizzazione. Non esiste programma con un ritorno sull’investimento (ROI) migliore.

Che fare allora?

Attrezzarsi con i giusti elementi per parlare e maneggiare con dimestichezza un tema come quello del testamento.

Preparare sè stessi e la propria organizzazione ad affrontare un dialogo anche serrato con chi arriverà da noi a domandarci qualcosa su questo strumento

Fare soprattutto cultura: diffondere, organizzare eventi sul tema, trasformare l’idea che il testamento non intercetta la morte ma la vita, soprattutto nella sua dinamica prospettica e concreta di generare valore anche quando non ci saremo più.

Una straordinaria testimonianza della caratteristica tutta italiana di respingere l’idea della morte è in una curioso servizio/intervista realizzato da Rosario Sardella, acuto giornalista. Ringrazio pure lui (qui il video)

Oggetto dell’intervista è un altro giornalista di Mantova, Guido Vigna che – anche lui come me con strani interessi – ha raccolto per anni e anni tutti i necrologi pubblicati sui quotidiani locali e nazionali: un vero e proprio spaccato di costume e di cultura.

Il tutto per ritrovare concretamente alcuni elementi fondamentali per impostare la nostra conversazione e la nostra comunicazione in tema di testamenti:

  • I necrologi come le lettere sono fonte di informazione: contengono i germi di come quella persona ha vissuto, quali passioni ha assecondato, che rapporti ha stretto. E’ quindi essenziale poter cogliere dai nostri donatori questi specifici elementi che solo una relazione stretta e intensa fa condividere.
  • La parola morte è quasi totalmente bandita (0.02%). Non fare quindi leva su questo specifico sostantivo e su questa prospettiva. Proiettarsi verso la vita che si può generare anche quando non ci saremo più.
  • E’ sempre inaspettata (anche per una persona di 107 anni!). “E’ presto” è una delle risposte tipiche dell’italiano medio sollecitato alla riflessione su un ipotetico testamento. Io costantemente mi stupisco sempre di fronte a queste granitica consapevolezza di sapere che ….. “E’ presto”!
  • Il necrologio è espressione di vanità: ognuno ha la volontà comunque di lasciare un’impronta di sé legandola al defunto, specialmente se famoso e in vista.

 

Eccoli i veri risvolti della nostra italianità; ecco gli ostacoli che si sommano a quelli che i nostri colleghi intravedono nello sviluppare campagne legacy; ecco da cosa partire per avviare (sul serio) una cultura del testamento.

Non c’è concorrenza nel legacy fundraising. Lo penso da sempre.

Siamo tutti chiamati a lavorare sulle leve della conoscenza e della cultura del testamento.

Se lo faremo in tanti saremo più concreti e credibili.

Se è vero che solo il 10% degli italiani fa testamento, la notizia è straordinaria: abbiamo il 90% della popolazione da attrarre verso questo strumento.

Vale la pena provarci. Tutti insieme.

PS: Parlare di testamenti non è il mio unico modo per stringere relazioni. Di relazioni ne parlerò nel mio prossimo blog. Ma se nel frattempo vuoi approfondire come acquisire un po’ di dimestichezza sul tema o vuoi semplicemente commentare, hai lo spazio nei commenti. Oppure scrivimi: malfste67@gmail.com.

Ci tengo.

Grazie.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *