L’emozione del Festival (e da domani si torna sulla terra!).

Ancora una volta non è possibile non riconoscere l’eccezionalità dell’evento che ormai annualmente coinvolge noi Fundraiser in una dinamica di condivisione e di aggiornamento: il Festival del Fundraising.

Appena chiusa la kermesse, si fa fatica a rituffarsi nella quotidianità, ma – già da domani – saremo richiamati alle questioni di tutti i giorni, con l’aggravio della testa piena delle tante idee raccolte, ascoltate e rinnovate durante le tante conferenze.

Personalmente è stata una edizione molto emozionante, costantemente costellata dal tema delle emozioni e proiettata verso la ricerca della filantropia vera e propria, piuttosto che affannata appresso alla dinamica del marketing più spinto. Una edizione  estremamente gratificante soprattutto per me: tantissimi, amici, colleghi, collaboratori che hanno voluto complimentarsi, ringraziarmi, farsi fotografare con me … nulla di immaginabile prima.

Sono sinceramente grato ad ognuno, per la bellissima festa dell’Award, per la prossimità e per il coinvolgimento. Mi piacerebbe fare qualcosa di bello e di grande per poter continuare a suscitare tanta emozione: al momento ho poco da condividere, se non quel discorso che avevo scritto (su sollecitazione) per ringraziare tutti questi amici, ma poi è finito in una tasca per lasciare spazio a qualche semplice frase buttata lì a braccio sulla scorta dei pensieri che mi avevano animato nello scriverlo. Il tutto vinto da una forte emozione.

Lo riporto qui per rinnovare il grazie a tutti e condividere qualcuno dei pensieri e delle convinzioni che mi animano quotidianamente sulla strada del fundraising con tanti colleghi (giovani e non) come compagni di strada.

Buon viaggio a tutti.

” E’ una serata molto gioiosa questa; ho una chiara percezione – questa sera – di una condizione di grazia in cui mi trovo: quella in cui lo sforzo compiuto per promuovere la nostra professione trova finalmente un riconoscimento, e a maggior ragione lo trova laddove le tematiche che solitamente propongo sono quelle più difficili e lontane dalle sensibilità degli italiani. La ragione vera ed intima della mia felicità, è questa, anche se non facile a dirsi: quella di sentirmi assolutamente circondato dalla poesia della carità, in altre e più semplici parole, dall’ideale del fare il bene per il bene.

Mai come in una occasione come questa mi vedo circondato da una media di persone che ha una assoluta attenzione alla prossimità, al dettaglio, alla dimensione profonda dei rapporti tra persone che si stimano e si vogliono bene e vogliono bene a quello di cui si occupano.

Intorno a me non ho semplici impiegati o banali colleghi, lontani o distratti dal lavoro cui attendono, con l’ansia di economizzare il tempo e che non si interessano – per goderne o soffrirne – delle sorti buone o tristi dell’Istituzione,  conoscono il gusto del sacrifico, non “calcolano” il tempo e la loro prestazione,  non fanno sentire e pesare quanto danno in più del dovuto. Non sono così le persone che ho incontrato tra le generosità dei donatori, o tra la disponibilità di colleghi.

Non sono mai stato il candidato più probabile per questo premio.

Quando abbiamo cominciato l’avventura del fundraising strutturato in Fondazione Don Gnocchi avevamo pochi soldi e pochi spunti, se non quello di una fiction pensata e realizzata peraltro da altri. La nostra campagna non è stata troppo architettata sui database o sulle redemption; è partita magari dal salotto e dalla chiacchiera con un’anziana signora di Milano, da una veranda di due coniugi qui sul Garda o dalle stanza di un anziano imprenditore che si é soffermato a riflettere a chi destinare un suo modesto patrimonio. È stata costruita solo successivamente da donatori e donatrici che hanno attinto ai loro magri risparmi per versare 5, 10, 20 euro per la nostra causa. È diventata forte grazie ai tanti che hanno rigettato il mito della scaramanzia e del pregiudizio di fronte alla morte, che hanno vinto la sfida della riservatezza per coinvolgere una ONP nel determinare dove finiranno i loro soldi dopo di loro. Ha attinto forza da quelle persone non più così giovani che hanno sfidato magari il freddo o il caldo soffocante per venire a bussare alla nostra porta, e consegnarci le chiavi della cassaforte che contiene il giusto, piccolo o grande tesoro per proseguire a fare con fatica e difficoltà – nel nostro specifico caso – un pezzetto della sanitá del nostro paese.

Questa è la VOSTRA vittoria.

Questa è la vittoria dei colleghi – di Assif e non – con i quali ho condiviso, discusso, polemizzato, scherzato sempre con lo stesso e comune spirito di fare bene il bene. Questa è la vittoria di chi, come la Fondazione dove lavoro e che mi ha offerto grandi opportunità, non ha paura di investire, con rigore e giudizio su quella starna cosa che si chiama FUNDRAISING.

Il mio grazie lo esprimo attraverso le parole di Don Carlo Gnocchi, che fu uno straordinario fundraiser ante litteram e che scriveva:

Intanto sia ben chiara una cosa. In questi anni molti milioni sono passati, per divina Provvidenza, nelle mie povere mani, indegne di tanto bene. Pochi però di essi sono giunti spontaneamente e non sono frutto di una mia aperta richiesta o frutto di una iniziativa personale. C’è in questo una profonda differenza fra le oblazioni mandate direttamente dalla divina Provvidenza e queste provocate espressamente da un’azione personale presso amici, conoscenti, enti ed associazioni, che senza questo stimolo non darebbero certamente. Io ammiro le persone e le istituzioni che tutto attendono dalla divina Provvidenza, nulla cercando e nulla rifiutando, ma io non ho la loro grazia speciale. Nella ricerca dei mezzi per la vita dei miei poveri io cerco di ispirarmi assai più a Don Bosco che “cercava” che al Cottolengo che “attendeva”.

Il mio grazie ve lo rendo attraverso l’augurio di poter sempre avere una buona opportunità di cercare, più che essere relegato all’unica possibilità di attendere.”

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