La leggenda del “senza paura” o la sfida del fare?

Torno a dire la mia all’indomani di un’altra bella sfida. Quella di individuare e di utilizzare senza paura un linguaggio nuovo per raccontarsi e per raccontare le attività di una organizzazione che da sessant’anni ha deciso di fare sempre la stessa cosa e soprattutto nei confronti di malattie che sono sostanzialmente croniche e non offrono l’opportunità di proporre una soluzione e una cura definitivamente risolutiva.

Ma è una scusa questa.

In realtà voglio parlare di noi fundraiser o meglio di noi persone, di come molti di noi combattano per cogliere le grandi occasioni anche se intimoriti soprattutto dal nuovo e dal “più grande” e facciamo fatica a gestire la paura nel momento in cui si presenta.

Un altro brillante speech di Dan Pallotta , mi ha confermato che diffusamente si pensa che la paura sia un segno che qualcosa non va, o che è la nostra intuizione che ci sta suggerendo di interrompere l’opera intrapresa e che tanto ci intimorisce. Vogliamo allontanarci da essa e rimuovere ogni motivo di timore.

Ma il prezzo di questo può essere addirittura la perdita del vero potenziale per ogni sfida della nostra vita. Fin da piccoli, a parte i nostri genitori, pochi ci insegnano a gestire la paura e tantomeno le scuole o la formazione ci offrono elementi utili per valorizzarla. Ma nulla di grande è mai stato raggiunto senza paura. La retorica motivazionale (molto “macho”) ignora questa realtà. Ci sono modi più produttivi di trasformare e utilizzare la paura, in modo da non danneggiare il vero potenziale di grandezza.

Nel corso della mia vita, professionale e personale, ho imparato anche a prendere qualche rischio significativo:

  • abbandonare la concretezza che offre una possibile carriera legata ai numeri per dedicarsi all’avventura del fundraising, significava ancora 10/15 anni fare un salto nel buio per sé e per l’organizzazione che te lo stava proponendo, ma crederci, crescere e convivere con quelle paure ha permesso di sviluppare una professionalità a tutto tondo, che coniuga il rigore dei numeri con la profondità, la varietà e la bellezza delle relazioni;
  • un volta poi dentro a questa professione, caratterizzarla verso quelle strategie che dialogano con l’idea della morte (il dono nel testamento) in un paese come l’Italia, ha spesso significato quasi sfidare l’impossibile; ma anche qui, misurare, condividere e valorizzare certi timori o vere e proprie paure, ha significato raccogliere qualche successo che – al di là delle “medaglie” che arrugginiscono in fretta – sono un implicito riconoscimento alla ferma volontà di voler vedere “al di là” …
  • e ora la sfida della comunicazione, degli strumenti e dei linguaggi nuovi (www.movimentidivita.it); la paura – grossa – di abbandonare temi e toni usuali per affrontare territori sconosciuti e interlocutori nuovi che richiedono immediatezza, tempestività e una serie di attenzioni e caratteristiche non solo nuove, ma anche magari lontane dal tepore del consueto in cui eravamo abituati a muoverci.

Impariamo nel corso della vita a prendere grossi rischi, sentendo un nodo allo stomaco magari (anche dichiarare un amore, spesso spaventa), immaginando scenari catastrofici di fronte a pensieri di fallimento, ma scoprendo – finalmente – cosa c’è dall’altra parte, sulla riva opposta. E’ un buon modo per avvicinarsi alla nostra natura umana e avere un po’ più di empatia per il “prendersi un rischio”. Tu non sei un perdente quando vorresti scappare. Sei umano. Basta solo capire che è questo ciò che ti spinge a fare cose veramente grandi e – a loro modo – rivoluzionarie.

L’altro insegnamento è quello di “non farsi dei film” catastrofici. Curioso come gli Alcolisti Anonimi negli USA utilizzino l’acronimo FEAR (paura) per False Evidence Appearing Real: false prove sembrano reali, per rappresentare la nostra tendenza ad immaginare un futuro nero dopo alcune scelte che ci proiettano verso il nuovo, il diverso, il lontano.

Sarà tutto sbagliato?

Non raggiungerò gli obiettivi?

Non verrò capito o peggio sarò frainteso?

Dovrò ricominciare da capo?

Sono interrogativi inutili perché l’errore caratterizza e preannuncia grandi scoperte e grandi sfide vinte. Gli interrogativi più plausibili sono:

Come sarebbero le cose se non avessi mai sbagliato ?

Cosa sarebbe se non avessi mai preso un rischio ?

Cosa sarebbe se non avessi mai imparato nulla di nuovo ?

Casa sarebbe se avessi così tanta paura di fallire da non vivere davvero?

2 Comments

  1. Giulia Reply

    Letto tutto d’un fiato. Grazie Stefano, ancor prima che come giovane fundraiser che ti stima molto, come persona che affronta i rischi e che… ora si stampa e attacca sulla scrivania il tuo post!

    1. Stefano Malfatti Post author Reply

      Grazie Giulia, sai quanto io sia legato al contributo che il confronto con i colleghi mi dá. Avere un positivo riscontro da te e da chi quotidianamente si confronta con la professione é quanto di piú utile e gratificante ci possa essere. Anche i dubbi e le perplessità arricchiscono, soprattutto se spingono a non fermarsi. Avanti quindi!

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