Il fundraiser al Kilo

Ricevo in queste ore via email un annuncio di ricerca di un Fundraiser.

Questa email mi dà lo spunto per tornare a parlare di profesionalizzazione dei Fundraiser e di scelte relative al loro coinvolgimento anche dal punto di vista retributivo.

L’annuncio è di una Fondazione che (cito) “promuove una formazione superiore qualificata per il terzo settore e l’impresa sociale, non solo nell’ambito delle professioni sociali, ma anche di ogni altra professionalità legata al terzo settore, al mondo consortile ed al mondo profit e non profit”.

Selezionano “urgentemente fundraiser per instaurare rapporti con: aziende private e/o pubbliche; enti privati e/o pubblici al fine di reperire raccolta fondi o sponsorfinalizzati sostanzialmente all’organizzazione di una conferenza internazionale sul Terzo Settore che si terrà a metà luglio 2012 (!!!).

L’annuncio prosegue così:

Carattere preferenziale dei candidati: un pregresso rapporto con le Enti, Istituzioni pubblici, pregresso portfolio contatti con Aziende private. 

Richiesta disponibilità immediata per un’iniziale contratto esterno di collaborazione freelance a risultato sui fondi raccolti a progetto. 

Il consulente riceverà un compenso percentuale (da stabilire congiuntamente) per i fondi e le partnership apportate. 

In particolare si chiede al consulente di: 

* Avere esperienza nell’ambito dello sviluppo di attività di raccolta fondi o formazione adeguata 

* Fornire riscontri e consigli utili sulla attuale offerta sponsor 

* Reperire fondi di sponsor e partner privati ed istituzionali 

* Gestire attivamente le relazioni con i partner 

* Presidiare e sviluppare i contatti già esistenti con le aziende

* Seguire l’operatività fino alla loro rendicontazione

* Stilare una reportistica periodica 

* Capacità decisionali, di valutazione, di elaborazione di informazioni e di problem solving

* Attitudine al lavoro di squadra, alle relazioni interpersonali e flessibilità

* Capacità di lavorare per obiettivi 

  • Capacità di analisi del target 

 

Questa ricerca va esattamente nella direzione opposta rispetto al favorire lo sviluppo di una professionalità che possa definirsi FUNDRAISER.

Senza entrare nel dettaglio delle numerose definizioni plausibili del ruolo di un Fundraiser, mi serve evidenziare che sembra abbastanza paradossale divulgare a marzo un annuncio per la ricerca di una figura che dovrà, non solo essere selezionata ma anche iniziare ad operare all’inizio di aprile per un evento che si svolgerà a Luglio.

Anche qui non entro nel merito di un lungo elenco di competenze ed attitudini richieste, nonostante il coinvolgimento si estremamente ridotto nel tempo e soprattutto molto limitato e limitante nei suoi obiettivi.

Ma quello su cui desidero soffermarmi è l’elemento retributivo.

Da quando opero in questo settore (10 anni), una delle prime cose che mi è stata chiara è che un fundraiser NON deve accettare lavori a percentuale su quanto raccolto, e non si debbano neppure accettare provvigioni sugli importi ottenuti. Da sempre mi è chiaro che è la motivazione (e la mission che si promuove) il motore vero della ricerca, non lo stimolo economico tout court.

Ogni risorsa che una ONP raccoglie DEVE essere spesa e investita nello svolgimento e nella promozione dei propri scopi e i ricavi reinvestiti senza accordare a nessuno percentuali su questo ricavato.

Il principio fondativo per cui un donatore trasferisce risorse a una nonprofit è sostanzialmente lo scopo e la mission della nonprofit stessa e non il guadagno di qualcuno.

Nel caso in cui la prestazione professionale fosse legata esclusivamente a una retribuzione a percentuale, il rischio sarebbe che la mission aziendale sia messa in secondo piano rispetto al semplice interesse personale e che l’immagine della nonprofit risulti danneggiata e l’interesse di sostegno dei donatori minato nel suo principio fondamentale.

Da anni ho aderito con entusiasmo sia ad ASSIF (www.assif.it) l’associazione che coinvolge gli operatori di fundraising in Italia e di AFP (www.afpnet.org) l’associazione americana che, con la sua storia decennale, detta a tutto il mondo le regole basilari ed eticamente coerenti per l’esercizio di questa particolare professione.

Ebbene entrambe hanno all’interno del loro codice etico delle norme molto precise sul fatto di non vincolarsi a clausole retributive che prevedano compensi sulla base di commissioni e/o provvigioni, norme che i professionisti stessi sottoscrivono nel momento in cui decidono di aderire all’associazione stessa.

Condividere la propria esperienza e la propria professionalità con ONP e associazioni collaborando ad avviare e sviluppare progressivamente una corretta ed efficace strategia di raccolta fondi, significa stabilire un rapporto professionale serio, coerente e circostanziato rivolto alla promozione della causa e della mission dell’organizzazione, rispettoso dei suoi scopi, dei suoi valori, dei suoi sostenitori.

Con queste basi, il rapporto di collaborazione non può essere paragonabile ad una attività meramente commerciale, né ad una semplice transazione come per la vendita di un prodotto  in cui, a fronte di un determinato prezzo, una parte spetta al venditore e una parte al rappresentante.

Leggendo però certi annunci sembra ancora tanta la strada da fare, non solo nel tessuto sociale ma nel terzo settore stesso, per una vera, concreta e definitiva riconoscibilità della professionalità dei fundraiser.

PS: Nella foto vi segnalo un genio nell’arte dell’elemosina

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