Fundraising di Stato. Giuro, l’ho sentito!

Interessante workshop ieri ad Exposanità a Bologna. ASSIF ha riunito le esperienze di alcune delle migliori iniziative di raccolta fondi in Sanità e ne ha fatto oggetto di un incontro ricco di spunti di riflessione e di case histories degne di nota. All’attenzione del pubblico è stata proposta anche una iniziativa abbastanza paradossale dal mio punto di vista. Una funzionaria di una USL romagnola ha voluto offrire il suo ricco contributo professionale speso nei confronti della raccolta fondi.

Si, una vera e propria fundraiser in ambito pubblico. Con tanto di lamentele – udite udite – per le “carenze normative che non consentono anche al settore pubblico di poter attingere alle risorse, ad esempio, del 5xmille” .

No, non sono ubriaco. La signora si è dilungata a spiegare quali e quanti progetti stanno mettendo in piedi nel territorio di riferimento della USL e devono PURTROPPO appoggiarsi a diverse associazioni per poter veicolare verso i progetti le risorse in maniera corretta (!!!).

Manterrò la calma oggi che è sabato. Ricorderò solo alla competente Signora di rileggere l’ampia letteratura che sancisce le sacrosante differenze tra uno Stato (di cui la USL è espressione) che ha il compito (abbastanza teorico in Italia) di occuparsi della gestione di numerosi servizi pubblici quali assistenza e sanità – tra i tanti – attingendo ovviamente alle risorse che noi cittadini eroghiamo sotto forma di tasse.

Al Terzo settore (che vive o sopravvive grazie al vero Fundraising) spetta il compito di sopperire ai servizi che lo Stato o non riesce a garantire o non riesce a completare nella forma più soddisfacente e adeguata per i cittadini.

Ben sappiamo quanto sia sempre più difficile conciliare un alto livello di protezione sociale, di tutela dei diritti, di qualità della vita con le esigenze della competizione globale, la domanda di nuovi diritti e di nuove sicurezze, la segmentazione della società e la diversificazione dei bisogni e delle domande sociali che caratterizza il nostro tempo e soprattutto il nostro luogo (l’Italia).

Lo Stato non ce la fa (basterebbe ricordare alla Signora della USL i tempi di pagamento delle aziende sanitarie nei confronti del privato accreditato); non ce la può fare senza un ampio ricorso alla mobilitazione delle risorse della società civile, del territorio, delle comunità intermedie, della partnership con il privato e con il nonprofìt. E’ proprio per questo che sono cresciuti così, in Italia e altrove, lo spazio e il ruolo del terzo settore. E si è riscoperta la sussidiarietà, un’idea più moderna e più articolata del ruolo delle amministrazioni pubbliche, del rapporto tra Stato e società civile, tra politica ed economia, tra amministrazione pubblica e cittadini.

Anche per questo è bene che Stato e Terzo settore restino ben distinti anche nell’utilizzo di determinati strumenti (il Fundraising per primo); tra Stato e terzo settore dovrebbe al limite dispiegarsi un rapporto positivo, nel rispetto del ruolo e dell’autonomia di ciascuno: una fitta trama di rapporti di interazione, dialogo e reciproche integrazioni, in parte già in essere e in parte tutte da costruire ma ognuno con i propri strumenti.

 

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