Zitto e ascolta!

Monologo del fundraiser vs dialogo con il donatore

Fare raccolta fondi (e comunicazione) per un’organizzazione totalmente nuova e diversa dalla precedente (soprattutto nell’approccio ai donatori), mi ha dato l’opportunità di confrontarmi con una tipologia di raccolta differente: da “uno a pochi” a “uno a molti”.

Ecco quindi alcune consapevolezze sul mercato del fundraising e sulle dinamiche di “ascolto” che volentieri condivido per un confronto.

Da subito sono rimasto molto sorpreso del fatto che, anche laddove i destinatari di una specifica iniziativa sono “molti” la direzionalità del rapporto deve essere approfondita, considerando costantemente quali siano le esigenze di comunicazione e di ingaggio del nostro interlocutore, piuttosto che le brutale proposta delle nostre specifiche richieste, progetti e obiettivi.

Il focus è sul “TU” non sul “ME” (inteso come organizzazione). Nulla di nuovo, certo … ma.

Sottolineo tre specifici elementi che credo siano la chiave per mantenere i nostri donatori a lungo e nel tempo, piuttosto che inseguirne di nuovi, assecondando il principio che la retention del donatore debba essere il primo obiettivo di cui tenere grande considerazione:

  1. Il donatore vuole essere riconosciuto come interlocutore privilegiato, se non altro perché ha scelto la nostra causa tra migliaia di altre
  2. I donatori vogliono donare per qualcosa di assolutamente specifico e riconoscibile (soprattutto all’inizio del loro rapporto)
  3. I donatori vogliono un resoconto su dove e come sono stati utilizzati i loro soldi (e questo a prescindere dalla loro età e dal loro genere dato che i più giovani selezionano tra tante cause e i più anziani ne sostengono tante e differenti)

Che fare quindi?

1. L’ascolto è la priorità. Quasi sempre i fundraiser vengono sfidati sulla base di quanto raccolgono, entro quando e con quale (parsimonioso) investimento. Ovviamente questo spinge ad un tipo di approccio con il donatore (soprattutto prospect) che non tiene minimamente conto di una vera e propria intelocuzione. Sospingere la priorità finanziaria senza conoscere il nostro sostenitore può essere controproducente, generando o una donazione notevolmente inferiore rispetto alle vere potenzialità o non generandola affatto.

Anche quei donatori che conosciamo da molti anni, potrebbero nel corso del tempo avere predisposizioni diverse al dono, generate da banalissime ma importanti dinamiche di vita che noi ci precludiamo di conoscere.

Come sempre, una relazione richiede uno scambio di opinioni e di informazioni tale da risultare interessante e coinvolgente da entrambe le parti.

La raccolta fondi è tanto più efficace quando riesce a essere generata dalla sintesi anche dei confronti con i donatori, oltre che dai progetti che desideriamo portare avanti.

È sicuramente necessario condividere i piani, le opportunità e le priorità della nostra organizzazione, ma quasi tutti i donatori hanno un proprio insieme di priorità. E’ bene che il donatore parli.

2. Ringraziare e rendere conto. Al di là delle singole campagne mi sono convinto che – nel tempo – la comunicazione più importante da inviare è il ringraziamento per un dono. E’ noto che i donatori non siano particolarmente “ansiosi” di ricevere le nostre lettere di richiesta, ma se c’è una lettera che attendono sempre con ansia e ne leggono parola per parola, questa è la lettera di ringraziamento.

Da parte dei fundraiser non c’è molto entusiasmo e non si trova particolare enfasi nel redigere questo tipo di lettere, dimenticandoci spesso che questa è la corrispondenza che – molto più di altre – condiziona i doni futuri e soprattutto la loro entità.

Questa è anche il primo passo verso una attestazione rigorosa di come i soldi siano stati da subito impegnati nella causa sostenuta; fa sentire i donatori già più fiduciosi e questa fiducia, a sua volta, li rende più desiderosi di donare di nuovo e in maniera più generosa. La fiducia è parte integrante del profitto.

3. Be “breve” ! Per ottenere l’attenzione dei donatori, è raccomandabile la brevità nella maggior parte delle comunicazioni post-dono. Una ragione è perché i pezzi più brevi hanno una migliore lettura e apertura di quelli di quelli lunghi.

In questo caso il sito web è uno straordinario alleato che, pur raccogliendo tutte le informazioni e le tipologie di approfondimento, riesce a spingere il lettore verso il suo preciso interesse e senza troppa perdita di tempo.

A questo punto è il donatore stesso che diventa responsabile del suo apprendimento e del suo aggiornamento.

Il contenuto, non il calendario, dovrebbe dettare la frequenza di comunicazione.

4. Usare i social media con saggezza L’osservazione costante dell’utilizzo dei social da parte del mondo nonprofit, pare rivelare che questi canali non siano quasi mai utilizzati per un dialogo vero e proprio (scopo principale per il quale sono nati).

La maggior parte delle nonprofit pensa di utilizzare al meglio i social media solo perché hanno un blog o pubblicano collegamenti alle loro newsletter o note sui loro recenti risultati. Li usano come strumento di trasmissione: sono tutti io, me, me, noi, noi, noi. Come andare ad una festa e mettersi al centro della sala e cominciare a raccontare i fatti propri, pretendendo che ognuno ci stia ad ascoltare.

Tutto poggia sul catturare un interesse, ascoltare e produrre una dinamica di dialogo, il più attento e partecipato possibile.

I social media danno accesso a un pubblico globale e ad un gran numero di persone che sono interessate alle medesime cose e richiede un cambiamento di mentalità da” Che cosa possiamo comunicare? ” a “Vediamo cosa sta succedendo nel mondo e vediamo come possiamo contribuire a questa conversazione”; il che potrebbe restituire un’immagine della nostra organizzazione come utile e pronta nel condividere storie e soluzioni.

L’approccio focalizzato sul pubblico richiede tempo e attenzione, oltre a comprendere i vantaggi che non sono immediatamente quantificabili. Investire sulle relazioni significa investire in tempi medio lunghi e l’approccio dei fundraiser (o dei board che li sospingono) è troppo spesso orientato alla dimensione economico- finanziaria piuttosto che alla dinamica dell’allargamento vasto e coinvolgente del proprio pubblico.

One Comment

  1. Simona Biancu Reply

    Caro Stefano, ho voluto prendermi un po’ di tempo per leggere il tuo post, sempre ricco di spunti e contenuti.
    In particolare trovo centrali i punti nr. 2 – l’ascolto – e 4 – i social media.
    Rispetto al primo il tema che spesso osservo è la necessità di “far presto”, o la difficoltà ad organizzarsi adeguatamente per programmare i vari momenti che compongono il lavoro di fundraiser, a scapito – appunto – dell’ascolto. Sono poche le organizzazioni che, a seguito di domanda in tal senso, mi dicono di conoscere i loro donatori, le loro preferenze, gli orientamenti. Quelle che lo fanno riescono a lavorare magari con meno relazioni ma molto più proficue non solo e non tanto in termini di fondi quanto nella capacità generativa di ulteriori relazioni. In questo modo il fundraising cresce, magari all’inizio un pochino più lentamente, ma certo con un guadagno enorme in termini di solidità e sviluppo per il futuro.
    E’ l’orizzonte di medio-lungo periodo che, unitamente alla sincera attitudine a voler costruire relazioni stabili intorno ad una causa, a far crescere l’entità della raccolta fondi. Non si scappa, a mio parere, pena l’auto-confinamento in un’ottica di breve periodo che, alla lunga, non paga.

    Sui social: io credo che sia necessario fare tanta formazione. Il leit motiv è “ho la pagina Facebook”, il suo utilizzo è spesso totalmente da rivedere. Sono d’accordo con te sulla necessaria bidirezionalità della comunicazione connesse al fundraising, a maggior ragione sui social. Nei fatti, come sempre, non ci si improvvisa. Gestire i social richiede preparazione, competenze tecniche, attitudine all’ascolto (di nuovo!) e all’interazione, capacità di orientamento rispetto agli obiettivi per cui i canali sono stati creati, abilità nel gestire la “comunicazione di crisi”. Non è esattamente come scrivere il proprio stato personale su Facebook. Quello che noto è che è un tema su cui – perlomeno dal punto di vista della visibilità – ci sono ampi margini di miglioramento, che non possono che passare attraverso la competenza.

    E, per concludere, non posso che essere d’accordo sullo spostamento del focus, da parte dei Board in primis, dalla dimensione economico-finanziaria all’ “ingaggio” vero e proprio. Ci arriveremo? Credo proprio di sì, in parte ci siamo già arrivati ma c’è molto lavoro da fare, ancora.
    Grazie per le tue riflessioni!
    Simona

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